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Il transfer pricing e le sue implicazioni con il Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231

Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231

Diverse e ben evidenti sono le situazioni in cui la gestione dei rapporti intercompany ed il transfer pricing sono elementi di rischio ai sensi degli illeciti previsti dal D.Lgs. 231. Si pensi alla categoria dei reati societari e alla potenziale creazione di fondi neri e si capirà come un Modello Organizzativo ex D.Lgs.231 ben strutturato non possa non prendere in considerazione questa casistica.

Vale dunque la pena approfondire il tema e conoscere in dettaglio le problematiche inerenti, dalle quali si possono trarre elementi utili anche alla costruzione di adeguati protocolli di prevenzione all’interno di un Modello Organizzativo ex. D.Lgs. 231.

Il Transfer Pricing

La crescente globalizzazione del mercato e la conseguente internazionalizzazione dei gruppi societari è ormai un fenomeno ben noto e diffuso. In questo contesto il transfer pricing (TP) intercompany diventa un importante strumento nella pianificazione strategica e fiscale dei gruppi societari multinazionali.

Le autorità fiscali in Italia e nel resto del mondo sono molto interessate al TP, in quanto mirano a non perdere il loro controllo impositivo. Il risultato di questa crescente concentrazione sul tema è un numero sempre più elevato di riprese fiscali con le relative sanzioni.

Le Autorità fiscali sono volte a contrastare il trasferimento di materia imponibile da una società ad un’altra del gruppo, quest’ultima solitamente residente in uno stato a bassa tassazione cd. profit shifting.

Di seguito le principali transazioni intercompany illustrate da uno studio che mostra il numero sempre crescente di operazioni sotto osservazione delle Autorità fiscali:

Statistica Transfer Pricing

 

Normativa vigente

Con l’aumentare della complessità e del numero delle transazioni, la disciplina del TP ha iniziato ad assumere una funzione di norma sistemica perdendo la sua natura originaria di norma anti-elusiva.

La normativa di riferimento in Italia:

[one_half] art. 110, comma 7 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) [/one_half]
[one_half_last] “I componenti del reddito derivanti da operazioni da società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e dei servizi ricevuti…” [/one_half_last]

[one_half] art. 9, comma 3 del TUIR[/one_half]
[one_half_last] “Per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi…per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore.” [/one_half_last]

In sostanza la normativa sul Transfer Pricing si prefigge l’obiettivo di ripristinare il prezzo “normale” delle transazioni che avvengono tra soggetti facenti parte dello stesso gruppo e che si trovano in Stati diversi. Tale valore “normale” è definibile come l’equo corrispettivo che imprese indipendenti avrebbero pattuito per la medesima transazione. Tale principio è stabilito dalle linee guida dell’OCSE (cd.“arm’s length principle”).

Nella prassi i metodi di determinazione del prezzo sono essenzialmente di 2 tipologie:

Metodi basati sulle transazioni

  1. Metodo di confronto del prezzo
  2. Metodo del prezzo di rivendita
  3. Metodo del costo maggiorato

Metodi reddituali

  1. Profit split method
  2. Comparable profit method

 

Difesa del contribuente

Nel contestare il transfer pricing – i trasferimenti di beni e servizi tra imprese di uno stesso gruppo residenti in stati diversi – l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a dimostrare l’elusione cioè la convenienza fiscale, ma deve solo provare la semplice esistenza, appunto, di transazioni anomale tra imprese collegate. Spetta invece al contribuente portare la dimostrazione che gli scambi infragruppo sono avvenuti per valori di mercato “normali”.

Il D.Lgs. 78 del 31 maggio 2010 ha però introdotto un importante “arma” a disposizione del contribuente: tale articolo infatti illustra la documentazione necessaria al fine di giustificare il processo di formazione dei Transfer price. In questo merito risulta rilevante anche la disposizione dell’articolo 26 del medesimo Decreto: esso definisce che se il contribuente fornisce alle autorità fiscali adeguata documentazione durante un accertamento fiscale, nessuna penalità fiscale (attualmente varia dal 100% al 200% delle maggiori imposte) verrà applicata su eventuali riprese accertate dall’Autorità.

Per adeguata documentazione nella prassi ci si riferisce principalmente a:

Masterfile – il quale contiene una descrizione generale del gruppo; la sua struttura organizzativa e operativa; le Strategie generali perseguite dal gruppo i flussi delle operazioni nonché una descrizione delle operazioni infragruppo con le correlate politiche di determinazione dei prezzi.

Documentazione Nazionale – il quale contiene invece informazioni specifiche sulla società italiana, quali: descrizione generale, settori in cui opera, struttura operativa, strategie generali perseguite e una descrizione delle operazioni infragruppo (da articolare come descrizione delle operazioni, analisi di comparabilità e metodo adottato per la determinazione del prezzo).

Un caso di specie: il Transfer pricing interno

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza 17955 depositata il 24 luglio 2013) fornisce una pericolosa interpretazione che apre scenari di applicazione del TP ancora più ampi: la regola del valore normale può trovare applicazione anche per le transazioni infragruppo tra aziende collocate all’interno del territorio nazionale.

La sentenza riguarda una presunta sottofatturazione relativa ad alcune cessioni effettuate da una società ad altra impresa dello stesso gruppo, la quale al tempo usufruiva di agevolazioni fiscali. Secondo l’amministrazione così operando si ricadeva nel presupposto del “profit shifting” in quanto era stato “spostato” reddito imponibile presso l’impresa che beneficiava di una situazione fiscale agevolata; il contribuente ha invece sostenuto che si trattasse di una strategia aziendale ben più complessa volta ad incentivare l’attività dell’azienda (che risiede nel Mezzogiorno).

La Corte di Cassazione, ha ribaltato il verdetto di secondo grado (nel quale la Commissione Regionale risultava tendenzialmente d’accordo con le ragione del contribuente) rilevando l’antieconomicità del ricarico pari al 4% applicato all’impresa del Gruppo paragonandolo con quello applicato alle terze parti pari al 10% (rilevando quindi il valore normale attraverso il metodo del confronto del prezzo).

La Corte, inoltre, ha evidenziato come la disciplina sul transfer pricing internazionale, costituisce una clausola antielusiva, radicata nei principi comunitari in tema di abuso del diritto, ed immanente nel diritto tributario nazionale.

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