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Il Piano Nazionale Anticorruzione, interazioni con Modello Organizzativo ex D.Lgs.231

Legge 190/2012 e Piano Nazionale Anticorruzione (PNA)

Mentre la Legge 190/2012 sembrava dispensare le società partecipate da Enti Pubblici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico dall’adottare il Piano per la prevenzione della corruzione e gli adempimenti conseguenti, il Piano Nazionale Anticorruzione approvato a settembre dal Civit (Autorità Nazionale Anticorruzione) sembra non lasciare più dubbi.

Il PNA infatti cita testualmente le società partecipate da Enti Pubblici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico tra i soggetti su cui quali grava l’obbligo di redazione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (P.T.P.C.), da comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica al 31 gennaio 2014.

 

Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) e Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231

Risultano piuttosto evidenti i rischi di sovrapposizione, o, in positivo, le integrazioni tra il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (P.T.P.C.) ed il Modello Organizzativo ex D.Lgs. 231, se adottato dall’ente.

Al punto che il Piano Nazionale Anticorruzione cita testualmente:

“Per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231 del 2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su essi, ma estendendone l’ambito di applicazione non solo ai reati contro la pubblica amministrazione previsti dalla l. n. 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati nella legge n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto dall’ente (società strumentali/società di interesse generale). Tali parti dei modelli di organizzazione e gestione, integrate ai sensi della l. n. 190 del 2012 e denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere trasmessi alle amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul sito istituzionale”.

Quali sono i reati considerati dalla Legge 190/12 che dovrebbero essere integrati in un preesistente Modello 231? Il PNA afferma che le situazioni di rischio:

“…sono più ampie della fattispecie penalistica, che è disciplinata negli artt. 318, 319 e 319 ter, c.p., e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale, ma anche le situazioni in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia che tale azione abbia successo sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

A quali reati si fa riferimento? Al peculato (art. 314 c.p.), per esempio, o l’abuso d’ufficio (art.323 c.p.) o ancora l’omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).

C’è da rilevare però che i protocolli di prevenzione ed i presidi organizzativi messi in atto dall’ente al fine della prevenzione degli illeciti che rientrano tra i reati presupposto del D.Lgs. 231 (artt. 317, 318 e 319 quater) dovrebbero risultare efficaci anche ai fini della prevenzione degli ulteriori reati previsti dalla Legge 190/12, perché si tratta dei medesimi processi sensibili e dei medesimi sistemi prevenzionistici.

Di conseguenza l’impatto sul Modello 231 e le necessità di integrazione dovrebbero risultare limitate.

 

Piano Nazionale Anticorruzione (PNA)  e Organismo di Vigilanza ex D.Lgs.231

Ricordando brevemente che la legge 190/12 prevede l’individuazione, all’interno dell’ente, di una figura dirigenziale con funzioni di Responsabile della Prevenzione della Corruzione anche con funzioni di vigilanza, risulta piuttosto ovvio pensare alle possibili interazioni con l’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. 231.

Talmente ovvio che, cita sempre il PNA:

“Gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale devono, inoltre, nominare un responsabile per l’attuazione dei propri Piani di prevenzione della corruzione, che può essere individuato anche nell’organismo di vigilanza previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001”

Dal momento che tale Responsabile è per legge figura dirigenziale interna all’Ente e per sua natura organo monocratico, al di là delle diverse posizioni di garanzia ricoperte dalle due funzioni non vi potrà essere la coincidenza tra Organismo di Vigilanza e Responsabile per la prevenzione della corruzione, se non nell’unico caso in cui l’OdV sia monocratico e sia ricoperto dal dirigente Responsabile della prevenzione della corruzione.

Più probabile invece che, per salvaguardare comunque le evidenti integrazioni tra i ruoli,  il dirigente Responsabile della prevenzione della corruzione  possa essere uno dei membri di un Organismo di Vigilanza plurisoggettivo.

In un prossimo articolo valuteremo anche le integrazioni con gli adempimenti di trasparenza derivanti dal D.Lgs. 33/2013.

AUTORE

Consulente di organizzazione aziendale e sistemi di gestione dai primi anni ‘90, si occupa di Modelli Organizzativi ex D.Lgs.231 dal 2002. E’ presidente o membro permanente di Organismi di Vigilanza in numerose società, anche di rilevanza nazionale. E’ membro di numerosi Comitati Tecnici costituiti in seno alle principali Associazioni di Categoria e relatore a seminari e convegni di rilevanza nazionale.